In questa sezione troverete alcuni scritti, estrapolati dalle tesi che ho elaborato nel corso delle mie formazioni come insegnante di yoga.
Nei panni dell'allieva
Nel corso della mia esperienza, ogni qual volta che ho incontrato un insegnante di yoga, è sempre stato a seguito di circostanze fortuite e mai per una ricerca mirata, pianificata a tavolino. Prima di incontrarli non ho mai controllato il loro lignaggio. Per contro, per decidere se iscrivermi o meno a un corso di yoga, una volta fatta la lezione di prova, ho sempre cercato di osservare in me le sensazioni rimaste a fine pratica. Sensazioni che ho in seguito portato a casa, dandomi il tempo per lasciarle decantare, e, passato qualche giorno, cercando di raccogliere quello che restava in me di queste impressioni, valutavo quali erano le mie aspettative, e soprattutto se queste erano conciliabili con ciò che mi aveva trasmesso l'insegnante. Mi è anche capitato di tirarmi in dietro, nel momento in cui questi due elementi di valutazione mi apparivano incompatibili. Osservando con gli occhi di oggi questo mio procedere, mi sento di dire che, da qualche parte, nel mio atteggiamento, è sempre stata presente un'assunzione di responsabilità, che fino ad ora si è rivelata premiante. Infatti, gli insegnanti che ho seguito e che sto seguendo a tutt'oggi, mi stanno aiutando a costruire delle basi importanti, per potermi incamminare in una ricerca spirituale, senza però rendermi un'allieva cieca e totalmente dipendente. A loro riconosco la capacità di passarmi degli insegnamenti, senza però imporli come dogmi incontestabili. Il loro modo di proporre senza imposizioni, mi permette di rimanere rilassata, con una mente aperta alle tante verità esplorabili; starà poi a me riuscire ad incontrare chi potrà accompagnarmi il più vicino possibile alla verità unica. Questo sentirmi spronata a dover studiare e praticare per poter capire, mi fa sentire, da una parte scoraggiata rispetto alla vastità della materia, ma dall'altra stimolata e libera di cercare in una direzione che mi porterà forse un giorno a trovare il mio guru nella sua accezione antica e tradizionale. Per questo sono infinitamente grata agli insegnanti Raffaella Meylan, Patrick Tomatis, Claudio Conte, Boris Tatzky e Alberta Biressi. Ogni volta che mi sono sentita sola, non considerata da uno di loro, o in disaccordo con una delle loro teorie, ho sempre avuto la possibilità di portarmi a casa un insegnamento prezioso. Osservando con calma e distacco le emozioni che avevo provato durante una lezione o un seminario, constatavo quanto esse dipendessero dalle mie insicurezze e dalle mie aspettative, arrivando così a capire che avrei potuto progredire solo riposizionandomi rispetto a ciò che desideravo imparare da questo o da quell'insegnante e a ciò che ero disposta a dare in cambio.
Quando si viaggia, è necessario fare spesso il punto chiedendosi:
Dove mi trovo?
A quale grado di longitudine, di latitudine?
Quale direzione devo prendere?
Quale distanza ho superato dal mio punto di partenza?
Quale distanza mi rimane da superare?
Sul Cammino bisogna fare spesso il punto, riprendere tutte le questioni fondamentali, anche quelle che si credono risolte, e, dieci anni dopo, riproporsi le stesse domande che ci si poneva:
Che cosa voglio?
Su quale cammino sono impegnato?
Che cosa faccio e che cosa mi è richiesto?
Perché?
Riprendere spesso le grandi nozioni fondamentali del Cammino che si comprende sempre meglio, di anno in anno, e dare loro un senso nuovo. Non bisogna pensare che una volta per tutte si è capito che cosa era la parola meditazione o qualunque altro dato concernente il Cammino.
(Cit. A. DESJARDINS, Alla ricerca del sé, 1996, Edizioni Mediterranee).
Il silenzio per i bambini
Si insegnava ai bambini a restare seduti immobili e a prenderci gusto. Si insegnava loro a sviluppare l'olfatto, a guardare là dove, apparentemente, non c'era nulla da vedere, e ad ascoltare con attenzione là dove tutto sembrava calmo. Un bambino che non può stare seduto senza muoversi è un bambino sviluppato a metà. Noi respingevamo un comportamento esagerato ed esibizionista poiché lo giudicavamo falso. Un uomo che parlava senza pause era considerato maleducato e distratto. Un discorso non veniva mai iniziato precipitosamente né portato avanti frettolosamente. Nessuno poneva una domanda in modo avventato anche se fosse stata molto importante. Nessuno era obbligato a dare una risposta. Il modo cortese di iniziare un discorso era di dedicare un momento di silenzio a una riflessione comune. Anche durante i discorsi facevamo attenzione a ogni pausa, nella quale l'interlocutore rifletteva. Per i Dakota, il silenzio era eloquente. Nella disgrazia come nel dolore nei torbidi momenti della malattia e della morte, il silenzio era prova di stima e di rispetto. Era così quando ci capitava qualche cosa di grande e degno di ammirazione.
(B. Brevi, Il grande spirito parla al nostro cuore, Edizioni Red, 1995).
Ci sono infinite forme di silenzio. In questo contesto desidero parlare del
"silenzio vivo che si differenzia dal silenzio quiescente, morto, non sufficiente a creare uno stato di sincera concentrazione e condannato a non suscitare una reale condizione per la meditazione" (S. Cingolani, Per una storia del silenzio, Ugo Mursia Editore, 2012).
Questo silenzio vivo che rappresenta nello yoga la condizione ideale per sperimentare la pratica, è quello che propongo durante le lezioni di yoga. Mi rendo conto però che è una condizione che deve partire prima di tutto da me per poter diventare così l'espressione o il riflesso della mia calma interiore. Per questo motivo considero la possibilità d'insegnare lo yoga ai bambini un'opportunità unica che mi rimanda costantemente a me stessa, offrendomi la possibilità di osservarmi attraverso i comportamenti e le reazioni dei bambini durante la lezione di yoga.
Solo stando continuamente attenta e presente a me stessa posso ipotizzare di chiedere ai bambini la stessa qualità di attenzione.
[...] Una qualità di attenzione che hanno i bambini molto piccoli, attenti alle meraviglie del mondo ma silenziosi e tranquilli. Questa qualità di attenzione è vigile e leggera, senza traccia di tensione, e aderisce totalmente al presente perché è nel presente.
(M. Borruso, Essere nel presente. Il risveglio, Edizioni Nuovi Equilibri, 2009).
Nel silenzio i bambini potranno fare esperienze di ascolto così lontane e così diverse da quelle vissute nel quotidiano.
Nel silenzio e nella totale immobilità i bambini potranno sintonizzarsi su di una frequenza, a loro forse sconosciuta, che permetterà loro di sentire dei rumori come il battito del cuore e il ritmo del respiro.
Nel silenzio i bambini potranno imparare l'importanza della giusta parola e l'importanza del giusto silenzio.
Nel silenzio i bambini potranno incominciare a muovere i primi passi verso una vita più consapevole.
"Un bimbo impiega due anni per imparare a parlare, un uomo impiega una vita per imparare a tacere" (Anonimo).
Nel contesto di una lezione di yoga per bambini, il silenzio può rappresentare, sotto forme e aspetti diversi, il punto di partenza, il punto centrale e il punto d'arrivo. All'inizio della lezione è una condizione esteriore necessaria per iniziare a fare un'esperienza. Condizione non indispensabile, ma sicuramente apprezzabile.Durante la lezione diventa invece un supporto per restare nell'ascolto dei propri rumori. E alla fine della lezione si trasforma in un silenzio avvolgente che infonde calma e quiete. Dal mio punto di vista, queste tre tappe sono proponibili a tutti i bambini, dai più tranquilli ai più agitati. Per ognuno di loro sono tappe che rappresentano una possibilità per osservarsi in situazioni inconsuete e imparare a confrontarsi con la propria natura cercando delle soluzioni amorevoli per trovare un po' di pace. Per concludere vorrei riportare la seguente riflessione, nella quale si riflette in maniera soddisfacente il mio punto di vista:
"per quanto il compito sia difficile e gli esiti non scontati, ritengo che sia possibile resistere a ciò che nei contesti sociali moderni si oppone al silenzio o lo distrugge, e che si possa aspirare a fruire di spazi ed esperienze significative di silenzio anche nel mondo di oggi, ben sapendo che quest'ultimo è caratterizzato da flussi di comunicazione incessante e dall'invadenza del rumore".
(G. Gasparini, C'è silenzio e silenzio; forme e significati del tacere, Edizioni Mimesis, 2012.).